Via Panisperna
Pane e Prosciutto
Si fa derivare il nome da una lapide quì esistente, che faceva menzione di un prefetto Perpenna; secondo il Maes qui era l Tempio di Giove Fagutale al quale si sacrificava un porco (ecco la perna, ossia il prosciutto) i cui pezzi si mangiavano avidamente, poi se ne celebrava la festa con conviti popolari, nei quali si dispensava a profusione a tutti i devoti pane e prosciutto: panis et perna.
Tradizione questa rimasta alle monache di Santa Chiara, che nella festa di S.Lorenzo in Panisperna, solevano distribuire a poveri egualmente pane e prosciutto.
Spiritualizzandosi la società, al prosciutto le monache, finchè restarono al loro convento, sostituirono un panino benedetto.
Palis e Sterno
"La chiesa di S.Lorenzo occupa parte dell'area delle Terme di Olimpiade, dinnanzi alle quali S.Lorenzo fu arrostito disteso su verghe di ferro formanti una grossa graticola.
A perenne ricordo del martirio fu denominato S.Lorenzo in Palisterno, cioè palis (pali o verghe), sterno, che significa distendere, mettere sopra per bruciare.
Presso la chiesa di S.Lorenzo si trovava la casa di S.Ippolito, a cui fu dato in custodia S.Lorenzo che lo convertì e lo battezzò con acqua fatta scaturire miracolosamente; e perciò la chiesa che corrisponde in V.Urbana fu detta S.Lorenzo in Fonte.
martedì 25 gennaio 2011
PORTICO D'OTTAVIA 2
Portico d'Ottavia
Un pesce che fece molta strada
(riferito alla Pescheria, intervento del post precedente)
E' rimasta famosa la vicenda d'una magnifica testa d'ombrina che un anno sui primi del '500 i Conservatori si videro arrivare in Campidoglio, e ossequiosi mandarono al cardinale Riario.
Il Riario si sentì in obbligo di farne omaggio al corpulentissimo cardinale Sanseverino, il Sanseverino la fece portare, su un piatto d'oro, a Agostino Chigi, Agostino Chigi la rispedì, incoronata di fiori, alla sua bella Imperia, Imperia, finalmente, la mangiò ma non da sola, bensì in compagnia di un famoso ghiottone e bello spirito, il vecchio Tito Tamisio, bene accetto nelle migliori case di Roma, ma a lei sconosciuto, che aveva inseguito il pesce fin dal principio del suo viaggio e che seppe presentarsi alla giovane con tanta grazia da ottenere subito il privilegio di sedere alla sua tavola.
Ebrei a predica
Nella chiesa di S.Angelo in Peschiera, come pure in quella vicina di S.Gregorio, si riunivano il sabato gli ebrei romani, obbligati per legge ad ascoltare in quel giorno la predica di un sacerdote cattolico.
Gli ebrei ascoltavano con aria serafica e imperturbabile le parole tonanti e gli anatemi contro il popolo "deicida" proferiti dal prete.
Infatti si tappavano accuratamente le orecchie con della cera e quindi non sentivano praticamente una parola. Così almeno vuole la tradizione: certo, non risulta mai che uno, un solo ebreo sia stato convertito da queste prediche (l'unico caso di conversione certamente noto, quello dell'ebreo Assalonne, avvenne in S.Andrea delle Fratte, e fu clamorosamente propagandato).
Un pesce che fece molta strada
(riferito alla Pescheria, intervento del post precedente)
E' rimasta famosa la vicenda d'una magnifica testa d'ombrina che un anno sui primi del '500 i Conservatori si videro arrivare in Campidoglio, e ossequiosi mandarono al cardinale Riario.
Il Riario si sentì in obbligo di farne omaggio al corpulentissimo cardinale Sanseverino, il Sanseverino la fece portare, su un piatto d'oro, a Agostino Chigi, Agostino Chigi la rispedì, incoronata di fiori, alla sua bella Imperia, Imperia, finalmente, la mangiò ma non da sola, bensì in compagnia di un famoso ghiottone e bello spirito, il vecchio Tito Tamisio, bene accetto nelle migliori case di Roma, ma a lei sconosciuto, che aveva inseguito il pesce fin dal principio del suo viaggio e che seppe presentarsi alla giovane con tanta grazia da ottenere subito il privilegio di sedere alla sua tavola.
Ebrei a predica
Nella chiesa di S.Angelo in Peschiera, come pure in quella vicina di S.Gregorio, si riunivano il sabato gli ebrei romani, obbligati per legge ad ascoltare in quel giorno la predica di un sacerdote cattolico.
Gli ebrei ascoltavano con aria serafica e imperturbabile le parole tonanti e gli anatemi contro il popolo "deicida" proferiti dal prete.
Infatti si tappavano accuratamente le orecchie con della cera e quindi non sentivano praticamente una parola. Così almeno vuole la tradizione: certo, non risulta mai che uno, un solo ebreo sia stato convertito da queste prediche (l'unico caso di conversione certamente noto, quello dell'ebreo Assalonne, avvenne in S.Andrea delle Fratte, e fu clamorosamente propagandato).
domenica 7 marzo 2010
SAN NICOLA IN CARCERE
San Nicola in Carcere
Dalla chiesa che sorge nell'area dell'antico Foro Olitorio, dedicata a S.Nicola vescovo di Mira (Licia), patrono della Russia e protettore dei carcerati, morto nel 312; il suo corpo fu portato a Bari nel sec.XI.
I tre Templi
Specialmente degni di essere ricordati sono i tre templi antichi che sorgevano uno accanto all'altro; la chiesa è fabbricata dentro il mediano di essi, che credesi fosse quello della Pietà, mentre gli altri due lateriali (sono discordi le opinioni) sarebbero dedicati alla Speranza e a Giunone Sospita.
Il tempio della Pietà, secondo un'antica tradizione, sarebbe stato edificato in onore di una donna romana, che nutrì del proprio latte il padre (altri credeva la madre) condannato a morire di fame, ai tempi della prima guerra Punica. Il tempio sarebbe stato edificato qui, in memoria del precedente, distrutto per erigere il vicino teatro di Marcello.
Perchè la chiesa prese l'appellativo in Carcere?
Varie sono le errate opinioni: dalla prigione di Stato, qui costruita dal decemviro Appio Claudio, da un carcere che, secondo Plinio, sarebbe esistito in queste adiacenze, ecc.
L'antica Roma ebbe un solo carcere, il Mamertino, che fu sempre sufficiente al bisogno, perchè la pena del carcere non esisteva: "viderunt uno contentam carcere Romam?"(Giovenale).
I rei venivano o uccisi o inviati ai lavori delle miniere, o puniti con multe e battiture.
Il carcere era solo un luogo di custodia preventiva.
Detto appellativo deriva da un carcere dell'alto Medioevo, menzionato nella vita di Adriano I (prof.Alfonso Bartoli).
La chiesa
L'attuale chiesa è a tre navate, sostenute da 14 colonne appartenenti ai tre antichi templi, dei quali si vedono splendidi avanzi nei sotterranei e al lato destro.
E' da notarsi l'immagine della Madonna della Guadalupa, portata dal Messico, nel 1767, dai Missionari della Compagnia del Gesù, allorchè questi furono scacciati.
Sotto l'altare maggiore stanno racconte in un'antica urna le ossa dei SS. Martiri Marco, Marcellino, Faustina e Beatrice.
La colonna Lattaria
Davanti il Tempio della Pietà era la colonna detta Lattaria, perchè di notte vi venivano esposti i lattanti abbandonati dalla madre.
Dalla chiesa che sorge nell'area dell'antico Foro Olitorio, dedicata a S.Nicola vescovo di Mira (Licia), patrono della Russia e protettore dei carcerati, morto nel 312; il suo corpo fu portato a Bari nel sec.XI.
I tre Templi
Specialmente degni di essere ricordati sono i tre templi antichi che sorgevano uno accanto all'altro; la chiesa è fabbricata dentro il mediano di essi, che credesi fosse quello della Pietà, mentre gli altri due lateriali (sono discordi le opinioni) sarebbero dedicati alla Speranza e a Giunone Sospita.
Il tempio della Pietà, secondo un'antica tradizione, sarebbe stato edificato in onore di una donna romana, che nutrì del proprio latte il padre (altri credeva la madre) condannato a morire di fame, ai tempi della prima guerra Punica. Il tempio sarebbe stato edificato qui, in memoria del precedente, distrutto per erigere il vicino teatro di Marcello.
Perchè la chiesa prese l'appellativo in Carcere?
Varie sono le errate opinioni: dalla prigione di Stato, qui costruita dal decemviro Appio Claudio, da un carcere che, secondo Plinio, sarebbe esistito in queste adiacenze, ecc.
L'antica Roma ebbe un solo carcere, il Mamertino, che fu sempre sufficiente al bisogno, perchè la pena del carcere non esisteva: "viderunt uno contentam carcere Romam?"(Giovenale).
I rei venivano o uccisi o inviati ai lavori delle miniere, o puniti con multe e battiture.
Il carcere era solo un luogo di custodia preventiva.
Detto appellativo deriva da un carcere dell'alto Medioevo, menzionato nella vita di Adriano I (prof.Alfonso Bartoli).
La chiesa
L'attuale chiesa è a tre navate, sostenute da 14 colonne appartenenti ai tre antichi templi, dei quali si vedono splendidi avanzi nei sotterranei e al lato destro.
E' da notarsi l'immagine della Madonna della Guadalupa, portata dal Messico, nel 1767, dai Missionari della Compagnia del Gesù, allorchè questi furono scacciati.
Sotto l'altare maggiore stanno racconte in un'antica urna le ossa dei SS. Martiri Marco, Marcellino, Faustina e Beatrice.
La colonna Lattaria
Davanti il Tempio della Pietà era la colonna detta Lattaria, perchè di notte vi venivano esposti i lattanti abbandonati dalla madre.
SANTA ANASTASIA
Santa Anastasia
dalla chiesa om. già esistente nel 992, e che la tradizione vuole edificata nel 300 da Apollonia matrona romana, sulla casa della santa.
In questa chiesa, prima del 1870 veniva il Papa a celebrare una delle 3 messe della notte di Natale, ed era detta messa dell'Aurora, le altre due erano celebrate in S.Maria Maggiore.
Fino all'esilio di Avignone il Papa vi celebrava anche il mercoledì delle ceneri.
Il capo della martire S.Anastasia, insieme a quello delle sue sorelle Agape, Chirona, Irene, si venera sotto l'altare maggiore.
L'altare di Ercole
La chiesa in parte sorge, come verificò Aldo Manuzio, sull'Ara Massima, ossia il grande altare eretto da Ercole per aver ucciso Caco, rapitore dei suoi buoi, altri crede l'ara essere sorta più verso la chiesa di S.Maria in Cosmedin.
La piazza e i dintorni erano anticamente occupati dal Foro Boario.
domenica 14 febbraio 2010
VICOLO SAVELLI
Vicolo Savelli
dall'om.famiglia.
La famiglia Savelli
Il Sabellum o Castel Savello dirimpetto ad Albano, tolse il nome da uno dei Minatii Sabelli, amici di Pompeo Magno, che sappiamo lo possedette; poi fu dato in enfiteusi ai Crescenzi de Sabelli, finalmente Savelli.
Castelli dei Savelli furono Albano, Ariccia, Castelgandolfo, Rocca Priora.
I Savelli, nel medioevo, godevano il privilegio della carica di marescialli di S.Chiesa e custodi del Conclave. Avevano carceri proprie e una guardia di 500 fanti, detta Corte Savella. Appartennero a questa famiglia i papi Eugenio I, Benedetto II, Gregorio IV, Onorio III, Onorio IV.
Onori e decadenze dell'Aventino
Essi, pretendendo discendere da Aventino, leggendario re di Alba, sepolto nel colle om., si dettero il pomposo titolo di "nobili del monte Aventino" e da ciò la loro predilizione per questo colle, che cominciò a popolarsi di case e torri, riacquistando così parte del primitivo splendore.
Però, quando poi Roma fu in preda alle fazioni, specialmente durante la resistenza del papa di Avignone, l'Aventino decade nuovamente e divenne luogo di desolazione.
domenica 7 febbraio 2010
VIA DEL VELABRO
Via del Velabro
Già V.S. Giorgio in Velabro dall'om. chiesa. Qui nell'antica Roma, erano i mercanti di stoffe ed droghieri.
La contrada, nel primo MedioEvo, era nominata Velum aureum.
La città di Evandro
La parola velabro ci fa pensare a velus o palude, confermante l'opinione che in questo basso luogo, essendo allagato, vi veleggiassero, secondo la tradizione, i Troiani in vista della preistorica città di Evandro sul Palatino; e si vuole che per andare dall'Aventino al Palatino, fosse necessario, nelle piene del Tevere, transitare su nave.
Romolo e Remo
Secondo la tradizione Faustolo trovò in questa palude Romolo e Remo, allattati dalla lupa. Una razionalizzazione della leggenda avanza l'ipotesi che la "lupa" non fosse una benevola bestia, ma una misera prostituta che si concedeva anche ai pastori della zona.
Chiesa di S.Giorgio in Velabro
del VII sec., dedicata in origine a SS.Sebastiano e Giorgio. San Giorgio, di Cappadocia, comite di cavalleria, fu martirizzato nel 303, sotto Diocleziano; si raffigura a cavallo nell'atto che colla lancia ferisce a morte il dragone, simbolo del demonio, liberando da esso una vergine nuda e piangente. E' il patrono dell'Inghilterra ed i contadini l'hanno per protettore dei cavalli. Nel Medioevo, il 24 aprile, festa del Santo, il Senato Romano portava ogni anno l'offerta votiva di un calice d'oro a questa chiesa.
Alla porta di questa chiesa Cola di Rienzo (I,II) attaccò un cartello ove era scritto:"In breve tempo li Romani torneranno al loro buono stato".
Arco degli Argentari
Addossato alla Chiesa è il piccolo Arco degli Argentari, eretto dai banchieri e dai negozianti del sito in onore di Settimio Severo e dei suoi figli Caracalla e Geta, il nome e la figura del quale ultimo furono scalpellati dopo la damnatio memoriae.
Nelle pilastrate dell'arco si possono vedere alcuni fori , praticati, si crede, nel MedioEvo per cercare un tesoro nascosto. Una vecchia storia romana narra che il tesoro c'era davvero; se lo prese un inglese, che avendo letto in un libro antichissimo:"Tra la vacca e il toro troverai un gran tesoro" frugò tutta Roma, vide i rilievi dell'arco e in quelli, fra le altre cose, anche una vacca e un toro, fece scavare un buco e vi trovò un bel mucchio di monete d'oro.
Il Belli:
"Mo annamo all'arco de la vacca e'r toro;
ma si ne vedi dua, nun te confonne.
In quello ciuco se trovò er tesoro;
l'antro è l'arco de Giano Quattrofronne,
che un Russio vo pagallo a peso d'oro"
Cloaca Massima
La palude fu in parte prosciugata da Anco Marzio e lo fu poi completamente da Tarquinio Prisco con la costruzione della Cloaca Massima.
Di fronte all'Arco degli Argentari un misterioso budello passando sotto antichissimi archi, immette in un desolato recesso dove si possono ancora vedere scorrere le acque della Cloaca Massima, della quale Plinio (che per la vastità delle cloache definiva Roma "città pensile e navigabile di sotto") scrisse che "il suo vuoto era tanto capace da poter accogliere un carro carico quanto più di può di fieno".
Scrive Plinio il Vecchio:
"Faceva fare quest'opera Traquinio Prisco con le mani della plebe, ed era in dubbio se la fatica fosse più lunga o più pericolosa, perciocchè molti cittadini si uccidevano da loro stessi per fuggire tanta noia; al quale disonore trovò il re un rimedio nuovo e non più pensato nè prima nè poi, ché fece crocifiggere i corpi di tutti colore che s'uccidevano in questo modo, esponendoli alla pubblica vista in pasto alle fiere e agli uccelli. Onde il pudore che è proprio del popolo romano e spesse volte, anche nelle battaglia, ha racquistata la vittoria perduta, allora anco sovvenne, ma più forte che mai, perchè i vivi si vergognavano di ciò come se ancora dopo la morte s'avvessero avuto da vergognare".
Scrive invece il Lugli:
"La cloaca da venti secoli è ancora in piena efficienza; ma appunto per questo si consiglia il visitatore di rinunciare a prenderne conoscenza de visu, tanto più che il livello molto aumentato della città moderna coi suoi alti muraglioni la rende piena fino quasi alla volta".
Chiare e Fresche
Contrariamente a quel che si potrebbe pensare le acque della Cloaca appaiono qui limpidissime; questo fatto si deve all'abbondante infiltrazione di una sorgente, l'acqua Argentina, già considerata tra le migliori di Roma, ma oggi non più utilizzata.
La tela del Circo
Plutarco vuole che la contrada prendesse questo nome, perchè chi dava qualche spettacolo, faceva coprire con tele questa strada che conduceva al Circo, e questa tela era detta Velum.
Cesare
Svetonio ci fa sapere che Cesare, il giorno del trionfo Gallico, passando per il Velabro, fu quasi gittato dal carro per la rottura dell'asse.
Arco o Giano
Nel centro della p. è un arco o Giano il solo rimastoci quasi integro di queli che i Romani erigevano ai crocicchi per riparare i cittadini dal sole e dalla pioggia; avanzi di un altro Giano esistono sulla v.Flaminia a km.13 da Porta del Popolo, nella tenuta Malborghetto.
Da alcuni si ritenne fu costruito sotto Nerone e restaurato da Settimio Severo. Fu liberato dalla terra di riporto che in gran parte lo seppelliva ed isolato, nel 1827, e rispristinato con la demolizione della torre che i Frangipane vi avevano eretto.
Già V.S. Giorgio in Velabro dall'om. chiesa. Qui nell'antica Roma, erano i mercanti di stoffe ed droghieri.
La contrada, nel primo MedioEvo, era nominata Velum aureum.
La città di Evandro
La parola velabro ci fa pensare a velus o palude, confermante l'opinione che in questo basso luogo, essendo allagato, vi veleggiassero, secondo la tradizione, i Troiani in vista della preistorica città di Evandro sul Palatino; e si vuole che per andare dall'Aventino al Palatino, fosse necessario, nelle piene del Tevere, transitare su nave.
Romolo e Remo
Secondo la tradizione Faustolo trovò in questa palude Romolo e Remo, allattati dalla lupa. Una razionalizzazione della leggenda avanza l'ipotesi che la "lupa" non fosse una benevola bestia, ma una misera prostituta che si concedeva anche ai pastori della zona.
Chiesa di S.Giorgio in Velabro
del VII sec., dedicata in origine a SS.Sebastiano e Giorgio. San Giorgio, di Cappadocia, comite di cavalleria, fu martirizzato nel 303, sotto Diocleziano; si raffigura a cavallo nell'atto che colla lancia ferisce a morte il dragone, simbolo del demonio, liberando da esso una vergine nuda e piangente. E' il patrono dell'Inghilterra ed i contadini l'hanno per protettore dei cavalli. Nel Medioevo, il 24 aprile, festa del Santo, il Senato Romano portava ogni anno l'offerta votiva di un calice d'oro a questa chiesa.
Alla porta di questa chiesa Cola di Rienzo (I,II) attaccò un cartello ove era scritto:"In breve tempo li Romani torneranno al loro buono stato".
Arco degli Argentari
Addossato alla Chiesa è il piccolo Arco degli Argentari, eretto dai banchieri e dai negozianti del sito in onore di Settimio Severo e dei suoi figli Caracalla e Geta, il nome e la figura del quale ultimo furono scalpellati dopo la damnatio memoriae.
Nelle pilastrate dell'arco si possono vedere alcuni fori , praticati, si crede, nel MedioEvo per cercare un tesoro nascosto. Una vecchia storia romana narra che il tesoro c'era davvero; se lo prese un inglese, che avendo letto in un libro antichissimo:"Tra la vacca e il toro troverai un gran tesoro" frugò tutta Roma, vide i rilievi dell'arco e in quelli, fra le altre cose, anche una vacca e un toro, fece scavare un buco e vi trovò un bel mucchio di monete d'oro.
Il Belli:
"Mo annamo all'arco de la vacca e'r toro;
ma si ne vedi dua, nun te confonne.
In quello ciuco se trovò er tesoro;
l'antro è l'arco de Giano Quattrofronne,
che un Russio vo pagallo a peso d'oro"
Cloaca Massima
La palude fu in parte prosciugata da Anco Marzio e lo fu poi completamente da Tarquinio Prisco con la costruzione della Cloaca Massima.
Di fronte all'Arco degli Argentari un misterioso budello passando sotto antichissimi archi, immette in un desolato recesso dove si possono ancora vedere scorrere le acque della Cloaca Massima, della quale Plinio (che per la vastità delle cloache definiva Roma "città pensile e navigabile di sotto") scrisse che "il suo vuoto era tanto capace da poter accogliere un carro carico quanto più di può di fieno".
Scrive Plinio il Vecchio:
"Faceva fare quest'opera Traquinio Prisco con le mani della plebe, ed era in dubbio se la fatica fosse più lunga o più pericolosa, perciocchè molti cittadini si uccidevano da loro stessi per fuggire tanta noia; al quale disonore trovò il re un rimedio nuovo e non più pensato nè prima nè poi, ché fece crocifiggere i corpi di tutti colore che s'uccidevano in questo modo, esponendoli alla pubblica vista in pasto alle fiere e agli uccelli. Onde il pudore che è proprio del popolo romano e spesse volte, anche nelle battaglia, ha racquistata la vittoria perduta, allora anco sovvenne, ma più forte che mai, perchè i vivi si vergognavano di ciò come se ancora dopo la morte s'avvessero avuto da vergognare".
Scrive invece il Lugli:
"La cloaca da venti secoli è ancora in piena efficienza; ma appunto per questo si consiglia il visitatore di rinunciare a prenderne conoscenza de visu, tanto più che il livello molto aumentato della città moderna coi suoi alti muraglioni la rende piena fino quasi alla volta".
Chiare e Fresche
Contrariamente a quel che si potrebbe pensare le acque della Cloaca appaiono qui limpidissime; questo fatto si deve all'abbondante infiltrazione di una sorgente, l'acqua Argentina, già considerata tra le migliori di Roma, ma oggi non più utilizzata.
La tela del Circo
Plutarco vuole che la contrada prendesse questo nome, perchè chi dava qualche spettacolo, faceva coprire con tele questa strada che conduceva al Circo, e questa tela era detta Velum.
Cesare
Svetonio ci fa sapere che Cesare, il giorno del trionfo Gallico, passando per il Velabro, fu quasi gittato dal carro per la rottura dell'asse.
Arco o Giano
Nel centro della p. è un arco o Giano il solo rimastoci quasi integro di queli che i Romani erigevano ai crocicchi per riparare i cittadini dal sole e dalla pioggia; avanzi di un altro Giano esistono sulla v.Flaminia a km.13 da Porta del Popolo, nella tenuta Malborghetto.
Da alcuni si ritenne fu costruito sotto Nerone e restaurato da Settimio Severo. Fu liberato dalla terra di riporto che in gran parte lo seppelliva ed isolato, nel 1827, e rispristinato con la demolizione della torre che i Frangipane vi avevano eretto.
lunedì 18 gennaio 2010
SANTA BARBARA
Santa Barbara
La Santa
Dall'om. chiesa. Ora Largo dei Librai.
"Santa Barbara, nata nel 235, patrona degli artiglieri.
Leggendo il martirio della vergine nicomedese, un fatto meraviglioso salta agli occhi e sia quell'aver tentato bruciarle i fianchi con fiaccole resinose; orribile se la dolorosissima prova è stata sopportata dalla eroica fanciulla, meraviglioso se un miracolo dal cielo le ha spente ogni qualvolta a lei si sono accostate, perchè allora troverai chiarissimo come a bordo delle navi o nei depositi di esplosivi, si sia pensato d'invocare la protezione di quella santa da cui il fuoco aveva indietreggiato"(Marcheri)
La più antica menzione della santa, nominata protettrice dei cannonieri, è un'Ordinanza delle milizie cittadine di Firenze in data 14 dic.1529
La Santa
Dall'om. chiesa. Ora Largo dei Librai.
"Santa Barbara, nata nel 235, patrona degli artiglieri.
Leggendo il martirio della vergine nicomedese, un fatto meraviglioso salta agli occhi e sia quell'aver tentato bruciarle i fianchi con fiaccole resinose; orribile se la dolorosissima prova è stata sopportata dalla eroica fanciulla, meraviglioso se un miracolo dal cielo le ha spente ogni qualvolta a lei si sono accostate, perchè allora troverai chiarissimo come a bordo delle navi o nei depositi di esplosivi, si sia pensato d'invocare la protezione di quella santa da cui il fuoco aveva indietreggiato"(Marcheri)
La più antica menzione della santa, nominata protettrice dei cannonieri, è un'Ordinanza delle milizie cittadine di Firenze in data 14 dic.1529
domenica 17 gennaio 2010
SAN ROCCO
San Rocco
Il Santo
Dalla chiesa dedicata a S.Rocco di Montpellier; il Santo, rimasto orfano, distribuì a 20 anni, il suo avere ai poveri; vestitosi da pellegrino s'avviò a Roma.
Attraversando la Toscana, avendo udito che Acquapendente era invasa dalla peste, vi accorse operando miracoli ed egualmente fece nella peste scoppiata a Piacenza.
Preso anche egli dal male, si ritirò in un bosco ove, secondo la pia leggenda, Dio gli mandò un cane a portargli il pane tutti i giorni, finchè guarì.
E' perciò ritenuto protettore dalle malattie contagiose (1295-1327).
Le chiese di S.Rocco
E' da notarsi che tutte le chiese dedicate a questo Santo, in tutte le città, stanno fuori dalle mura, o nell'interno di esse a poca distanza, come prima tappa dei pellegrini; ed infatti l'attuale chiesa, quando qui fu cominciata nel 1499, era in piena campagna. Ai tempi di Alessandro VI appartenne alla confraternita degli Osti, Barcaroli e Mondezzari.
La facciata fu fatta nel 1832 dal Valadier.
L'ospedale per le nascite
Nel principio del sec. XIX qui era un'ospedale, pure detto di S.Rocco, per le donne che volevano partorire segretamente, e così scriveva il Belli nel 1834:
"Er Cornuto
Ch'edè, sor testicciola de crapetto?
Da sì che vostra moje annò a S.Rocco
Avete arzato un'aria de scirocco
E un muso duro da serciate in petto!
Il Santo
Dalla chiesa dedicata a S.Rocco di Montpellier; il Santo, rimasto orfano, distribuì a 20 anni, il suo avere ai poveri; vestitosi da pellegrino s'avviò a Roma.
Attraversando la Toscana, avendo udito che Acquapendente era invasa dalla peste, vi accorse operando miracoli ed egualmente fece nella peste scoppiata a Piacenza.
Preso anche egli dal male, si ritirò in un bosco ove, secondo la pia leggenda, Dio gli mandò un cane a portargli il pane tutti i giorni, finchè guarì.
E' perciò ritenuto protettore dalle malattie contagiose (1295-1327).
Le chiese di S.Rocco
E' da notarsi che tutte le chiese dedicate a questo Santo, in tutte le città, stanno fuori dalle mura, o nell'interno di esse a poca distanza, come prima tappa dei pellegrini; ed infatti l'attuale chiesa, quando qui fu cominciata nel 1499, era in piena campagna. Ai tempi di Alessandro VI appartenne alla confraternita degli Osti, Barcaroli e Mondezzari.
La facciata fu fatta nel 1832 dal Valadier.
L'ospedale per le nascite
Nel principio del sec. XIX qui era un'ospedale, pure detto di S.Rocco, per le donne che volevano partorire segretamente, e così scriveva il Belli nel 1834:
"Er Cornuto
Ch'edè, sor testicciola de crapetto?
Da sì che vostra moje annò a S.Rocco
Avete arzato un'aria de scirocco
E un muso duro da serciate in petto!
mercoledì 23 dicembre 2009
martedì 22 dicembre 2009
VIA DEI CAPPELLARI
Via dei Cappellari
"La via prende il nome dai fabbricanti di cappelli che qui avevano dimora. Non convince la derivazione dal nome della famiglia di Gregorio XVI, Cappellari, visto che non risulta alcuna proprietà della famiglia nella zona né tantomeno nessuno che vi abbia mai abitato.
La strada è antica ed un tempo formava un lungo rettifilo (probabilmente via Tecta o Porticus Maximae) che attraversava Campo de' Fiori con un percorso che, ricalcando le attuali via dei Giubbonari, via di S.Maria del Pianto e via del Portico di Ottavia, giungeva fino al Teatro di Marcello.
Nell'Ottocento veniva così descritta: "Strada già rimarchevole ed amabilissima per oscurità, fango perpetuo, lordura sempiterna, casupole, sfasciumi, grotte ed altre simili piacevolezze che l'abitarvi è una benedizione...".
La via ebbe anche il nome di via dell'Arco dei Cappellari per un cavalcavia tuttora esistente, detto anche Arco di S.Margherita, sembra per una Casa Santa o monastero di "bizzocche" (così venivano chiamate le donne che si ritiravano in comunità di preghiera pur non essendo suore) fondato da Paola de' Calvis.
Ebbe anche il nome di via dei Tebaldeschi perché questa famiglia aveva qui le proprie case: all'altezza del civico 13 possiamo ancora ammirare il loro emblema, una rosa, mentre dinanzi è situato il loro palazzo più importante, con loggia e torre ancora ben visibili, sebbene rimaneggiato nel Settecento.
Sotto l'arco, al n° 29, una lapide apposta nel 1873 ricorda che "In questa casa a dì 3 gennaio 1698 nasceva Pietro Trapassi noto al mondo col nome di Metastasio". Il poeta, forse il più insigne degli Arcadi, portò il melodramma italiano alla sua più alta perfezione, tanto che dal 1730 visse a Vienna come poeta cesareo alla corte di Carlo VI e di Maria Teresa, dove ebbe onori e favori. Scrisse tragedie, cantate, melodrammi tra cui Attilio Regolo, Gli Orti Esperidi, Didone abbandonato, Alessandro, Semiramide, Artaserse e altri. Roma lo ricorda con un monumento, opera di Emilio Gallori del 1886, un tempo situato in piazza S.Silvestro, oggi in piazza della Chiesa Nuova."
tratto da Roma Segreta
"La via prende il nome dai fabbricanti di cappelli che qui avevano dimora. Non convince la derivazione dal nome della famiglia di Gregorio XVI, Cappellari, visto che non risulta alcuna proprietà della famiglia nella zona né tantomeno nessuno che vi abbia mai abitato.
La strada è antica ed un tempo formava un lungo rettifilo (probabilmente via Tecta o Porticus Maximae) che attraversava Campo de' Fiori con un percorso che, ricalcando le attuali via dei Giubbonari, via di S.Maria del Pianto e via del Portico di Ottavia, giungeva fino al Teatro di Marcello.
Nell'Ottocento veniva così descritta: "Strada già rimarchevole ed amabilissima per oscurità, fango perpetuo, lordura sempiterna, casupole, sfasciumi, grotte ed altre simili piacevolezze che l'abitarvi è una benedizione...".
La via ebbe anche il nome di via dell'Arco dei Cappellari per un cavalcavia tuttora esistente, detto anche Arco di S.Margherita, sembra per una Casa Santa o monastero di "bizzocche" (così venivano chiamate le donne che si ritiravano in comunità di preghiera pur non essendo suore) fondato da Paola de' Calvis.
Ebbe anche il nome di via dei Tebaldeschi perché questa famiglia aveva qui le proprie case: all'altezza del civico 13 possiamo ancora ammirare il loro emblema, una rosa, mentre dinanzi è situato il loro palazzo più importante, con loggia e torre ancora ben visibili, sebbene rimaneggiato nel Settecento.
Sotto l'arco, al n° 29, una lapide apposta nel 1873 ricorda che "In questa casa a dì 3 gennaio 1698 nasceva Pietro Trapassi noto al mondo col nome di Metastasio". Il poeta, forse il più insigne degli Arcadi, portò il melodramma italiano alla sua più alta perfezione, tanto che dal 1730 visse a Vienna come poeta cesareo alla corte di Carlo VI e di Maria Teresa, dove ebbe onori e favori. Scrisse tragedie, cantate, melodrammi tra cui Attilio Regolo, Gli Orti Esperidi, Didone abbandonato, Alessandro, Semiramide, Artaserse e altri. Roma lo ricorda con un monumento, opera di Emilio Gallori del 1886, un tempo situato in piazza S.Silvestro, oggi in piazza della Chiesa Nuova."
tratto da Roma Segreta
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