lunedì 19 ottobre 2009

PORTICO D'OTTAVIA


Portico d'Ottavia

Dagli avanzi dell'ingresso al sontuoso portico eretto da Augusto, e dedicato a sua sorella Ottavia, per comodo del popolo che assisteva agli spettacoli nel prossimo teatro eretto in onore di suo nepote Marcello.
Il portico aveva più di 300 colonne con capitelli corinzi; venne quasi distrutto da un incendio ai tempi di Tito.

La firma degli architetti spartani
"Sauro e Batraco arch.spartani edificarono per ordine di Quinto Metello, i due templi a Giove e Giunone (del primo non esiste più nulla, al secondo appartiene la colossale colonna che si vede presso l'angolo di una casa in V.S.Angelo in Pescheria) racchiusi nell'ammirabile Portico d'Ottavia, i quali, vedendosi negato il permesso di apporvi il proprio nome, delusero la proibizione con una specie di rebus. Vale a dire scolpirono sui capitelli delle colonne due animali, la cui denominazione corrispondeva precisamente ai loro nomi, cioè lucertola (in greco saurus) e la rana (batracos).
uno di questi capitelli si vede in S.Lorenzo fuori le mura" (Maes)

La statua di Cornelia

Quì fu consacrata a Cornelia, madre dei Gracchi, una statua in bronzo, seduta; la statua fu la prima eretta in Roma in onore di una donna, nonostante l'opposizione di Catone. Nel 1878, fra le macerie del luogo tornò alla luce solamente il piedistallo ove si legge: Cornelia Africani F.Gracchorum.

La biblioteca
Augusto in questo portico pose una biblioteca, che donò al popolo. Per mero caso sappiamo il nome di un impiegato di questa: Hymnus Aurelianus, del quale è l'iscrizione funebre in uno dei colombari della vigna Codini.
Ricorderemo come in seguito a discordie domestiche i genitori talvolta diseredavano i figli. Infatti Caio Melisso di Spoleto, nato libero, ma ob discordiam parentum expositus, divenuto schiavo, fu acquistato da Mecenate, che lo destinò a suo grammatico e lo tenne come amico. La madre, venuta a sapere della sorte de figlio, volle redimerlo; egli ricusò di tornare alla condizione della sua origine, e remansit in servitute, finchè Augusto lo liberò e fattagli ordinare la biblioteca del Portico di Ottavia, ve lo nominò direttore.

La pescheria
Fra i ruderi di questo portico giaceva sepolta la statua in marmo della più leggiadra dea, La Venere dei Medici; sopra essa gli ebrei tenevano il più sudicio dei mercati, vendendo pesci esposti sopra antiche lastre di marmo, e perciò la V.era detta della Peschiera.
Degne di nota le iscrizioni nel pilastro, presso il cancello: quella che vieta i giuochi sulla piazza:
"D'ordine dell'Ill.mo e Rev.mo Mons. Govern. di Roma si proibisce il poter giocare a- veruna sorte di giuoco anche lecita in- questa piazza e sue pertinenze e botteghe- sotto pene ad arbitrio";
e l'altra a destra "Capita piscium- hoc marmoreo schemate longitudine- majorum usque ad primas pinnas- inclusive Conservatoribus- danto".Questa usanza rimontava al XIV sec.
La lapide informa che tutti i pesci che avessero superato la lunghezza della lapide stessa dovevano essere decapitati "fino alle prime penne incluse" (
usque ad primas pinnas- inclusive) e le teste date ai Conservatori in Campidoglio. La lapide, come l'altra del Campidoglio, misura metri 1,13.
La testa del pesce era considerata (a ragione dicono i buongustai) la parte più prelibata, ed era utilizzata per zuppe. Ogni contravvenzione alla norma comportava una multa di ben dieci fiorini d'oro.

A proposito dei pesci, ricorderemo che i monelli romani, quando dall'odore dei pesci ne arguivano la poca freschezza, intonavano intorno al malcapitato venditore, questa canzoncina: "Er sor Cario che viè dall'olanda e pe' strada incontra la banda, je piaceno li soni, purchè sieno strumenti boni. Zunnenanà, zunnenanà, ecco la banda che passa di qua!"
Tuttora a Roma quando il pesce puzza si dice "c'è Carluccio" o "che banda!".

Le campane di S.Angelo
Entro il portico è la chiesa di S.Angelo in Peschiera, detta anche S.Angelo Pescivendolo, nel Medioevo archivio comunale, la di cui campana maggiore, del 1291, porta questa iscrizione:
"An MCCXXCI ad honorem Dei et M.M.V. et S.Angeli"- Mentem sanctam spontaneam honorem Dominis et Patrie liberationem D. Rodulphus de Sabello fecit dieri hoc opus phus - De Dottis me fecit". La frase "Patria liberationem" ricorda il suono delle campane a martello per chiamare i cittadini a raccolta nei pericoli della patria.
E suonò per Cola di Rienzo, nella famosa pentecoste del 1347. Dalla mezzanotte dela vigilia di Pentecoste fino alle dieci del mattino dopo, Cola di Rienzo si preparò all'imminente conquista del potere ascoltando le trenta messe dello Spirito Santo.
Poi, narra il suo biografo: "escìo fuora bene e palese, moltitudine di garzoni lo seguivano tutti gridanti; dinanzi di sè facevasi portare da tre buoni uomini de la coniurazione tre confaloni... Ora prende audacia Cola di Rienzo benchè non senza paura, e vanne una col lo vicario del papa e sale il palazzo di Campidoglio... Aveva in suo sussidio forza cento uomini armati. Adunata moltissima moltitudine di gente salio in parlatorio e sì parlò, e fece una bellissima diceria de la miseria e della servitude del popolo di Roma. Poi disse: che per esso amore del papa e per salvezza del popolo di Roma, esponeva la sua persona in ogni pericolo".
Per effettuare il suo colpo di mano, Cola aveva aspettato che fossero assenti da Roma i signori più temuti, questi signori che , non dando nessun peso alle sue manovre, prendendolo per un pazzo o un buffone, si erano divertiti a invitare alle loro tavole il figlio della lavandaia e a sentirgli dire: "Io sarò grande signore o imperatore; tutti questi baroni perseguiterò; quello appenderò; quello decollerò".

Presso
Qui presso era il Porticus Philippi innalzato da L.Marcio Filippo, suocero di Augusto, che recingeva il Tempio d'Ercole, e quello delle Muse.
Fra il Portico d'Ottavia ed il Teatro di Marcello era il Templum Apollinis, dedicato nel 431 a.C. dal console Giulio Manto; da questo tempio partiva la solenne processione che andava al Tempio di Giunone Regina sull'Aventino.

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